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venerdì 31 marzo 2017

LA NICCHIA, LA MASSA ED ESOPO



Ogni tanto cerco su youtube una canzone (perché magari mi ritorna in mente da alcuni giorni) e poi mi accorgo che lasciando scorrere i video con la sequenza suggerita, mi trovo a conoscere tutto il repertorio di quel cantante, che pure non definirei tra i miei preferiti. E mi dico che non è poi così male...
Inevitabilmente, ritorno sull'eterno conflitto di nicchia/di massa. Se ti conoscono in pochi è perché vali meno o perché vali ben più della maggior parte? Se ti conoscono in tanti è perché lo meriti o perché sei quel minimo sindacale che produttori e "sistema" vogliono concedere alla plebe?
La supponenza per cui pochi ma buoni non è forse un alibi? O davvero, esiste gente che per portare avanti un ideale di purezza artistica o professionale - già sufficiente a se stesso - rifugge le strade "comode" per continuare su sentieri impervi?
Che poi così comode queste strade non saranno, se l'unico sbocco a cui mirano è creare denaro. E comunque, se è una scelta non piacere a tutti sarebbe già motivo di soddisfazione riuscirci. Anche se a volte, pare che sia proprio il collocarsi tra l'elite scopo e motivo di questi personaggi controcorrente ad ogni costo.

A me banalmente, vedere anzianotti con occhiali da sole atteggiarsi a divi in pectore di "rock/bluz/jass" contestare il mainstream fa venire in mente la volpe esopica.
Ma io, che non ho la discografia completa di nessuno, non faccio testo.

mercoledì 22 febbraio 2017

PAROLE, PAROLACCE E PAROLE VUOTE





bla-bla


Quando ero piccolo, nella mia nera e violenta Catania, erano gli anni 80.
Quelli in cui guidavi l'auto senza cintura e il motorino senza casco, in cui si votava
democristiani  e socialisti, si alzavano interi quartieri abusivi e la sigla hccp non esisteva, al massimo c'era la CCCP (che di divieti ne aveva anche di più!).
Eppure, una certezza era che non si usassero parolacce in presenza di bambini e donne. Obbligo che valeva tanto per anonimi incravattati con ricci all'indietro e occhialoni che per affiliati a cosche reggenti. Era come dire che tutti dovevano porsi un limite.
Poi, crescendo, nel pieno dei miei mutamenti non ho realizzato a pieno i mutamenti del resto del mondo.
Oggi, che siamo più consapevoli di tutto, che vogliamo salvare il pianeta, che riconosciamo i diritti agli animali, che differenziamo lo smaltimento tra il foglio del bloc notes e lo scontrino, mediamente abbiamo la lingua più sporca del bancone di taglio di un pescivendolo, a prescindere d chi ci troviamo di fronte.
Ignorante di scienze umane applicate terminanti in "logia", non so se sia solo rabbia covata o fisiologico cambiamento dei costumi sociali.
Ritengo che, nel complesso, manchi proprio il concetto di rispetto: di sé, degli altri, dei contesti, delle situazioni.
Probabilmente, molte persone, non sanno neppure che la Biologia abbia affibbiato dei nomi specifici come "testicoli" e "natiche", così immagino che tra vent'anni ci troveremo a parlare con i medici come fossimo al chiosco antistante lo stadio.
Le parolacce non saranno più tali, saranno le parole "giuste", di uso comune.
A quel punto sorgerà il problema di inventarne di altre per quando occorrerà sfogarsi.
Sempre negli anni 80, vigeva un'altra certezza: che l'arbitro fosse cornuto appena entrasse in campo; dunque prima ancora di portarsi il fischietto alla bocca, addirittura sin dal riscaldamento pre-gara.
Poi, negli anni 90 gli opinionisti della televisione ci hanno insegnato che l'arbitro è un atleta come gli stessi che dirige, per giungere ad oggi 2017, in cui dare del cornuto all'arbitro è un atteggiamento sessista verso la di lui moglie (compagna chiedo scusa...); e se l'arbitro non fosse etero? Peggio! Allora, è omofobia, perché si intende che tutti gli omosessuali siano infedeli.
O addirittura, potrebbe pure arrivare l'indignazione dell'associazione nazionale dei cornuti che non vuole essere accostata alla Associazione Italiana Arbitri.
Fortunatamente, il calcio ormai si può guardare solo su Sky, e non avendone acquistato mai alcun pacchetto, evito di sentirmi a disagio verso gli altri e verso me stesso.

lunedì 9 gennaio 2017

UN PALLONE CHE ROTOLA


Tra le cose che mai avrei pensato di poter fare c'era scrivere un romanzo. E invece l'ho fatto.
Per un fattore puramente caratteriale mi piace scrivere, ma non farlo spesso; e soprattutto senza un fine. Così come viene, quando viene e se viene.
Ho scritto una storia plausibile, senza orpelli così come è confacente al contesto che ho scelto: il tifo calcistico. Che certo vive di retorica,  ridondante e traboccante, ma ad uso solo di chi crede davvero che col supporto della sua voce e dello sventolìo della propria sciarpa si determini il risultato.
Sono andato in curva per molti anni e alla fine, credo che non sia così. L'apporto del 12esimo uomo, la spinta del fattore campo e dell'ambiente ritengo che incidano solo a livelli modesti, al più tra le varie serie dilettantistiche. I professionisti vivono i 90 minuti in modo diverso. E credo che siano altri elementi a determinare i risultati imprevedibili; elementi non nobili né pienamente esplicitabili di cui il tifoso ha percezione ma non realizzata. Intrallazzi, giochi di palazzo, interessi non riconoscibili alla massa vengono tirati in ballo quando il risultato non ci premia, mentre è solo merito del lavoro e del sostegno del pubblico se i nostri 11 escono dal campo con il sorriso. In questa alternanza tra rassegnazione e trionfalismo, non lineare ma sincopata, si consuma la vita del tifoso.
Si dice che il calcio sia la cosa più importante tra le cose meno importanti, ma i tifosi sanno che spesso questa demarcazione svanisce e per un pallone che rotola siamo pronti a ridimensionare aspetti della nostra vita che varrebbero di più. Non è stupidità, superficialità o massificazione. E' voler credere che, in qualche modo, sui gradoni, senza voce e fieramente bardati dei nostri colori, noi facciamo la storia.
A tutti i tifosi che non si sentono spettatori.

http://www.youcanprint.it/fiction/fiction-sport/un-pallone-che-rotola-9788892639362.html