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martedì 2 gennaio 2018

Se lo chiede l'Europa...

La bandiera dell'UE

immagine di
© AFP 2017/ Philippe Huguen


Per gran parte del primo decennio del terzo millennio il ritornello che giustificava ogni stretta ai diritti del lavoratore era che lo chiedesse il mercato. Da almeno 5 anni, siamo passati a "ce lo chiede l'Europa". Non che faccia differenza se si muore per mano di un concetto economico o di uno geo-politico, ma la UE è ben più oppressiva perché non si limita ad accrescere lo squilibrio tra chi offre lavoro e chi lo presta, ma richiede (leggasi impone) misure nuove che colpiscono oltre al lavoratore, il consumatore, il cittadino e - in definitiva - il singolo individuo in ogni sua sfera.
Il passaggio comporta una minor libertà personale, ma anche statale; e si attua attraverso un trucchetto comunicativo. Nel senso che il mercato è un concetto vuoto, asettico che richiama il gioco di forza contrapposte che, hegelianamente, chiameremmo servo/padrone. L'Europa, invece, è innanzitutto un territorio, dunque qualcosa di fisico, che in qualche modo sentiamo nostro: perché ci abbiamo viaggiato, vissuto, studiato; è come un parente lontano che porta il nostro cognome e che magari non vediamo da molto tempo, ammesso l'abbiamo mai visto, e a cui, in fondo, vogliamo pure bene. Avvolti da un legame profondo, di sangue.
"Ce lo chiede l'Europa" è dunque sia un alibi, che un diktat, che un colpo basso.
Perché al mercato faremmo volentieri spallucce, ma verso l'Europa, proviamo un attimo di imbarazzo condizionati da un sentimento di tipo infantile: se non saremo ubbidienti Gesù piangerà, mamma ci resterà male, papà non ci parlerà più.
E i popoli, come bimbi, chinano il campo.
Ma ogni bambino è destinato a divenire adolescente, a scontrarsi, a rivendicare il proprio campo d'azione.
Potranno essere colpiti gli Stati nazionali, ma non il sentimento che li ha animati. E i sentimenti dei popoli è ciò che rende viva la Storia.


venerdì 31 marzo 2017

LA NICCHIA, LA MASSA ED ESOPO



Ogni tanto cerco su youtube una canzone (perché magari mi ritorna in mente da alcuni giorni) e poi mi accorgo che lasciando scorrere i video con la sequenza suggerita, mi trovo a conoscere tutto il repertorio di quel cantante, che pure non definirei tra i miei preferiti. E mi dico che non è poi così male...
Inevitabilmente, ritorno sull'eterno conflitto di nicchia/di massa. Se ti conoscono in pochi è perché vali meno o perché vali ben più della maggior parte? Se ti conoscono in tanti è perché lo meriti o perché sei quel minimo sindacale che produttori e "sistema" vogliono concedere alla plebe?
La supponenza per cui pochi ma buoni non è forse un alibi? O davvero, esiste gente che per portare avanti un ideale di purezza artistica o professionale - già sufficiente a se stesso - rifugge le strade "comode" per continuare su sentieri impervi?
Che poi così comode queste strade non saranno, se l'unico sbocco a cui mirano è creare denaro. E comunque, se è una scelta non piacere a tutti sarebbe già motivo di soddisfazione riuscirci. Anche se a volte, pare che sia proprio il collocarsi tra l'elite scopo e motivo di questi personaggi controcorrente ad ogni costo.

A me banalmente, vedere anzianotti con occhiali da sole atteggiarsi a divi in pectore di "rock/bluz/jass" contestare il mainstream fa venire in mente la volpe esopica.
Ma io, che non ho la discografia completa di nessuno, non faccio testo.

mercoledì 22 febbraio 2017

PAROLE, PAROLACCE E PAROLE VUOTE





bla-bla


Quando ero piccolo, nella mia nera e violenta Catania, erano gli anni 80.
Quelli in cui guidavi l'auto senza cintura e il motorino senza casco, in cui si votava
democristiani  e socialisti, si alzavano interi quartieri abusivi e la sigla hccp non esisteva, al massimo c'era la CCCP (che di divieti ne aveva anche di più!).
Eppure, una certezza era che non si usassero parolacce in presenza di bambini e donne. Obbligo che valeva tanto per anonimi incravattati con ricci all'indietro e occhialoni che per affiliati a cosche reggenti. Era come dire che tutti dovevano porsi un limite.
Poi, crescendo, nel pieno dei miei mutamenti non ho realizzato a pieno i mutamenti del resto del mondo.
Oggi, che siamo più consapevoli di tutto, che vogliamo salvare il pianeta, che riconosciamo i diritti agli animali, che differenziamo lo smaltimento tra il foglio del bloc notes e lo scontrino, mediamente abbiamo la lingua più sporca del bancone di taglio di un pescivendolo, a prescindere d chi ci troviamo di fronte.
Ignorante di scienze umane applicate terminanti in "logia", non so se sia solo rabbia covata o fisiologico cambiamento dei costumi sociali.
Ritengo che, nel complesso, manchi proprio il concetto di rispetto: di sé, degli altri, dei contesti, delle situazioni.
Probabilmente, molte persone, non sanno neppure che la Biologia abbia affibbiato dei nomi specifici come "testicoli" e "natiche", così immagino che tra vent'anni ci troveremo a parlare con i medici come fossimo al chiosco antistante lo stadio.
Le parolacce non saranno più tali, saranno le parole "giuste", di uso comune.
A quel punto sorgerà il problema di inventarne di altre per quando occorrerà sfogarsi.
Sempre negli anni 80, vigeva un'altra certezza: che l'arbitro fosse cornuto appena entrasse in campo; dunque prima ancora di portarsi il fischietto alla bocca, addirittura sin dal riscaldamento pre-gara.
Poi, negli anni 90 gli opinionisti della televisione ci hanno insegnato che l'arbitro è un atleta come gli stessi che dirige, per giungere ad oggi 2017, in cui dare del cornuto all'arbitro è un atteggiamento sessista verso la di lui moglie (compagna chiedo scusa...); e se l'arbitro non fosse etero? Peggio! Allora, è omofobia, perché si intende che tutti gli omosessuali siano infedeli.
O addirittura, potrebbe pure arrivare l'indignazione dell'associazione nazionale dei cornuti che non vuole essere accostata alla Associazione Italiana Arbitri.
Fortunatamente, il calcio ormai si può guardare solo su Sky, e non avendone acquistato mai alcun pacchetto, evito di sentirmi a disagio verso gli altri e verso me stesso.

lunedì 9 gennaio 2017

UN PALLONE CHE ROTOLA


Tra le cose che mai avrei pensato di poter fare c'era scrivere un romanzo. E invece l'ho fatto.
Per un fattore puramente caratteriale mi piace scrivere, ma non farlo spesso; e soprattutto senza un fine. Così come viene, quando viene e se viene.
Ho scritto una storia plausibile, senza orpelli così come è confacente al contesto che ho scelto: il tifo calcistico. Che certo vive di retorica,  ridondante e traboccante, ma ad uso solo di chi crede davvero che col supporto della sua voce e dello sventolìo della propria sciarpa si determini il risultato.
Sono andato in curva per molti anni e alla fine, credo che non sia così. L'apporto del 12esimo uomo, la spinta del fattore campo e dell'ambiente ritengo che incidano solo a livelli modesti, al più tra le varie serie dilettantistiche. I professionisti vivono i 90 minuti in modo diverso. E credo che siano altri elementi a determinare i risultati imprevedibili; elementi non nobili né pienamente esplicitabili di cui il tifoso ha percezione ma non realizzata. Intrallazzi, giochi di palazzo, interessi non riconoscibili alla massa vengono tirati in ballo quando il risultato non ci premia, mentre è solo merito del lavoro e del sostegno del pubblico se i nostri 11 escono dal campo con il sorriso. In questa alternanza tra rassegnazione e trionfalismo, non lineare ma sincopata, si consuma la vita del tifoso.
Si dice che il calcio sia la cosa più importante tra le cose meno importanti, ma i tifosi sanno che spesso questa demarcazione svanisce e per un pallone che rotola siamo pronti a ridimensionare aspetti della nostra vita che varrebbero di più. Non è stupidità, superficialità o massificazione. E' voler credere che, in qualche modo, sui gradoni, senza voce e fieramente bardati dei nostri colori, noi facciamo la storia.
A tutti i tifosi che non si sentono spettatori.

http://www.youcanprint.it/fiction/fiction-sport/un-pallone-che-rotola-9788892639362.html

sabato 20 agosto 2016

OSPITALITA' O SERVILISMO?

Ho scoperto che la punta nord del Lago di Garda è splendida. Quasi senza italiani, e pure i trentini locali hanno un accento che per un attimo li fa sembrare tedeschi. Come le frotte di villeggianti che animano quelle latitudini. Ho pure scoperto che i più esaltati praticanti di wind-surf spesso si danno appuntamento appena oltre Rovereto, a Torbole. Bello!
Solo una cosa mi ha lasciato il broncio durante il mio ferragosto lacustre. Stava per passare l'inno nazionale prima della partita del Settebello, quando il cameriere cambia canale, lasciando su una schermata nera. Nonostante la discrezione che domina da queste parti, ci si scambia qualche occhiata tra i tavoli. Non se ne capisce il motivo: le Olimpiadi, più o meno, piacciono a tutti. Soprattutto se gioca la nazionale di casa.
Di casa, appunto. Ma, oltre la territorialità, a casa bisogna sentirsi.
Dopo aver fugato gli sguardi perplessi, il cameriere alla fine cede alla domanda diretta di una collega e indica un tavolo con tre tedeschi all'apparenza bifolchi, che avrebbero chiesto di assistere alla partita tra il Bayern e una qualche Borussia. Affrettandosi a spiegare che però, se il canale 100 fosse rimasto nero, sarebbe tornato a Rai Uno.


Mi è montata la rabbia. Quei tre, oltre a sembrarlo, saranno di certo bifolchi; ma nell'italiano medio di certa provenienza c'è un recondito bisogno di sudditanza. Il tizio, invece di assestare un bel "Ich ficke" o un nostrano "e sti gran c...", ha eseguito come uno sguattero.
E mi sono ricordato che proprio quel cameriere, la sera prima, spiegava a dei commensali, che i suoi dodici mesi si dividono tra la stagione sul Garda e una lunga vacanza, retribuita con il sussidio della disoccupazione maturata, tra Salerno e Brasile. E qui, a breve, si trasferirà lasciando(ci) solo i suoi debiti. "Perché alla fine, essere onesti non paga".
Ecco, forse mentre teneva premuto il dito sul tasto della ricerca canali, credeva di trovarsi ad Arpoador.
Anzi no, in quel caso, avrebbe portato rispetto.

domenica 3 luglio 2016

UNA PASSERELLA CHE PASSERA'





Il ponte di Christo sul Lago di Iseo
Che l'arte sia diventata un prodotto di massa lo sapevamo ed è pure facilmente constatabile. Lascia comunque perplessi che la passeggiata di Christo sia annoverata come opera rivoluzionaria che trascina il pubblico fruitore dentro l'arte, ribaltando il consueto rapporto per cui la creazione artistica sia "passivamente" a disposizione di chi la ammira e, se va bene, la interpreta.
Un'opera d'arte deve "insegnare" qualcosa, rendere un valore universale. Con la mania di dover sempre vedere oltre, caricare di simboli e significati, arriviamo al punto che una trovata ben riuscita, redditizia e indovinata è diventata qualcosa che trova spazio nella categoria degli affreschi rinascimentali e delle sculture marmoree.
Decisamente troppo!

lunedì 28 settembre 2015

IDENTITA' ....A PROPOSITO DI LEGA PRO...

Risultati immagini per mosaico siciliano

La retrocessione d'ufficio per l'indagine "I treni del gol" mi ha dato una conferma. Il presagio c'era da tempo, ma lo scacciavo. Lo stesso senso di disagio del siciliano che varca lo Stretto è quello che ho visto nel tifoso rossazzurro durante gli anni di serie A: giocare a San Siro, nei due Olimpici, al Bentegodi dava un senso di vertigine, di inquietudine, di tormentato smarrimento.
I tanto decantati "campi polverosi" nei quali una città di 300.000 abitanti non avrebbe mai dovuto poggiare la punta della scarpetta sono tornati. Con un senso di liberazione, quasi di riappropriazione. Come se la nostra dimensione sia giocare con i grossi centri di provincia e non con i capoluoghi. E Catania resta comunque la più "evoluta" tra le città siciliane, per tornare al disagio delle prime righe, quello espresso da un vago "vengo dalla Sicilia".
Il bergamasco non ti parla di Lombardia, né il veronese del Veneto. Ci sta che l'abitante di Termoli ti parli del Molise o quello di Montesilvano dell'Abruzzo.
Il siciliano. C'è pure un film con questo titolo. E abbiamo accettato che siano  i film e le fiction a parlare di noi, attraverso attori romani che si sforzano di imitare il nostro accento e scimmiottare i nostri modi. Ma poi quale accento? Di dialetti siciliani ce ne sono decine.
Quando affermeremo con naturalezza di provenire da una città invece che dalla regione, magari tante altre piccole ma significative cose, cambieranno. Non esibendo più le nostre contraddizioni ma affrontandole.
A quel punto non ci basteranno più cronisti rassegnati e malinconici pensatori di piazza, appostati come corvacci a rammentare come vanto le sette dominazioni subite. Più una, che non si appresta a concludersi.
E magari, quel giorno, riusciremo a indossare l'abito della festa tutti i giorni.

lunedì 21 settembre 2015

IL PAESE A CUI CI STIAMO ABITUANDO






...si agitano le dita per indicare le virgolette;
...gli immigrati sono tanti, ma più gli emigranti;
...sempre meno spettatori negli stadi, sempre più davanti la televisione;
...pure i rappers sono musicisti;
...anzi che si lavora...!
..."di questi tempi" è diventata la normalità;
...l'italianissimo caffè espresso dev'essere very strong;
...ci si fa tatuare frasi banali e neppure ben comprese;
...storpiamo le parole latine per pronunciarle all'inglese;
...all'estero invece...
...che hai fatto domenica? Siamo andati al centro commerciale;
...gli anni di studio sono solo un pezzo di carta;
...voglio bene solo al mio cane...
...ci conosciamo, siamo pure amici su facebook!
...a Master Chef liberi professionisti piangono per la cottura di una bistecca;
...non ascoltiamo più una canzone ma una song;
...la diversità è bella se la pensiamo tutti allo stesso modo;


sabato 15 agosto 2015

AFORISMI...LA RACCOLTA




Risultati immagini per aforismi per caso



Cari tutti,
è uscita la raccolta di aforismi, che per vari mesi ho inserito in questo blog. Il materiale è confluito in una pubblicazione realizzata da Giochidimagia Editore.
Ringrazio Alessandro Delvecchio per la disponibilità.
Lascio on line due post, per "stuzzicare l'appetito"...!!!

/http://www.giochidimagia.net/aforismi-per-caso/

martedì 8 luglio 2014

AFORISMI PARTE II...UN SUONO GORGHEGGIANTE.



Molta gente confonde un dato di fatto con un'offesa.
Capita che per un'esasperata idea coerenza, venga meno quella verso noi stessi.
Pensa a vivere felice, che qualcun altro penserà alla tua infelicità.

Spesso le cose non sono poi cosi male, ma noi le rendiamo peggiori.

Non chiedo consigli per non dover cambiare idea.

Quando credi di avere una grande occasione ti ritrovi deluso, quando non ti fidi ti ritrovi a rimpiangere.